martedì 22 gennaio 2013

GOODBYE, FRINGE!

No, non siete connessi in un universo parallelo.


So di non aver mai parlato di Fringe fino a questo momento, momento che per l'appunto coincide con la fine di questo show, show che merita qualche parola.
Sono arrivata in ritardo con questo telefilm, ammetto di averlo visto sotto consiglio (benedetti siano certi consigli) e di non avergli dato molto credito inizialmente, eppure sono bastati un paio di episodi per esserne totalmente rapita.


Fringe si presenta come tutto quello che solitamente io non guardo, sono un'amante della così detta continuity, una storia per appassionarmi deve partire dal capo di una matassa e portarmi all'altro attraverso una serie di eventi ben intrecciati e Fringe, soprattutto quello dell'inizio, non rispondeva esattamente a queste caratteristiche. La trama di fondo si delineava sottile sovrastata dagli avvenimenti che ci venivano presentati all'inizio di ogni episodio come problemi prontamente risolti alla fine dei quaranta minuti, eppure per qualche strano motivo (dite che è stato per la faccia di Joshua Jackson?!) non sono riuscita a lasciar perdere entrando ben presto nel tunnel che mi ha portato a vedere in poche settimane ben quattro stagioni in periodo di esami universitari (ok, questo non fa di me una persona responsabile, I know!).

Ed è così che arriviamo allo scorso settembre, all'ultima stagione di un grande telefilm. Ultima stagione a mio avviso scritta e dedicata a quegli affezionati che hanno seguito anno dopo anno e a quegli che hanno divorato le puntate affezionandosi in poco tempo, ultima stagione legata da una continuity prima mai vista in Fringe, ultima stagione fortemente criticata da molti, ma non da me.

La stagione ha si molte falle logiche, ci sono molte domande che non trovano risposta e molti dettagli che potevano avere importanza ma che sono stati inspiegabilmente dimenticati per strada, ma nonostante questo è, a mio avviso, una grande stagione conclusiva. Fringe ci ha condotto a cercare spiegazione per cose che non sono immaginabili in nessuna realtà, ci ha portato in mondi paralleli e fatto vedere come un uomo può cambiare il corso della storia per quattro lunghe stagioni, ma quello che è sempre rimasto anche dopo la risoluzione di un caso o la separazione dall'altro universo sono stati i rapporti, quelli umani, quelli legati da sentimenti reali. Questa stagione finale contrappone gli osservatori agli umani che conosciamo e ne sottolinea la differenza maggiore, l'assenza di emozioni nei primi, assenza che a loro avviso gli rende forti, gli rende più furbi, più intelligenti e più capaci ma che alla fine della storia si dimostrerà invece un punto più debole di quanto avessero calcolato.

Nessuno trae giovamento dal non sentire, questo ci insegna quest'ultima stagione di Fringe. Non sono state la scienza di Walter, l'intelligenza di Peter o l'astuzia di Olivia a ripristinare il pianeta, queste caratteristiche non mancavano nemmeno agli osservatori, quello che ha messo i nostri un passo avanti agli altri sono state le emozioni, l'amore per la figlia perduta, la motivazione che li spingeva a rivolere un mondo migliore e perché no anche la rabbia, la voglia di vendetta per quello che ai protagonisti è stato strappato via.

Ma veniamo davvero all'episodio finale (o episodi volendo, ma lo considererò come un solo lungo addio), avreste mai detto di potervi commuovere alla vista di una mucca bloccata nell'ambra? Io no.


Dopo averci appunto ricordato, nei primi 40 minuti, tutto quello che Fringe è stato mostrandoci l'altro universo e quella carrellata di casi che abbiamo visto risolversi episodio dopo episodio abbattersi sugli osservatori per mano di Peter ed Olivia siamo arrivati a quello che è uno dei finali più emotivi di sempre.
Peter e Walter guardano insieme quella videocassetta, uno di fianco all'altro, ed ho amato tutto questo; quando un paio di puntate fa September/Donald accennò al sacrificio di Walter ero arrabbiata, mi sembrava che ci avessero voluto dare uno spoiler senza che noi potessimo decidere se evitarlo o meno, ed invece nel momento in cui Peter domanda se non c'è altra soluzione ed apprendendo che appunto non c'è abbraccia semplicemente suo padre sono stata grata agli autori, grata che non si siano giocati la carta della sorpresa finale, grata di averci permesso di metabolizzare quello che sarebbe successo, e non perché lo abbia reso meno doloroso, ma perché lo ha reso più reale.
Così, mentre noi siamo nel pieno vortice emotivo in cui ci hanno trascinato, i protagonisti si avvicinano sempre di più al momento in cui il piano sarà attivo, ma non facciamo in tempo a renderci conto di tutte quelle cose scientifiche, non facciamo in tempo a porci troppe altre domande perché Astrid ci fa commuovere davanti ad una mucca mentre parla di un frullato. Nessuno è pronto a pensare che Walter sta vivendo le sue ultime ore insieme alla sua famiglia e proprio mentre tentiamo di metabolizzarlo September sconvolge i piani, sarà lui ad accompagnare quel bambino, lui non lascerà andare suo figlio, non si priverà di lui e non priverà quel bambino di un padre; e qui è inevitabile pensare a quanto il fulcro di tutto lo show sia proprio nelle parole di Walter, significa essere padre, dice a September (non riesco a chiamarlo Donald, sorry!) e non c'è nulla di più vero, il nostro Bishop questo lo sa, lui sapeva tutto, lui si sentiva onnipotente un tempo, ed invece c'era ancora qualcosa che poteva imparare e che ha imparato, essere un padre.

E poi succede quello che succede in ogni fine, mancano pochi minuti e c'è tutto da fare e nulla di fatto quando Olivia schiaccia Windmark tra due auto e September viene colto di sorpresa da un proiettile un attimo prima di attraversare la finestra verso il futuro.


 E' straziante il silenzio rotto solo dal carillon, è straziante l'espressione che hanno Olivia, Astrid e soprattutto Peter quando si trovano impotenti di fronte a quello che sta per accadere ed è straziante il sorriso con cui Walter si avvia verso la redenzione, perché è di redenzione che si parla per lui, ogni caso che ha risolto era stato da lui creato, ogni mondo che ha cercato di risanare era stato da lui danneggiato, la vita del suo stesso figlio era frutto dei suoi precedenti errori, perciò nulla di quello che è stato fatto in queste stagioni era mai sembrato abbastanza, può essere sufficiente togliere alcuni pezzi d'ambra da un universo ormai in ginocchio? Può essere sufficiente salvare qualche vita debellando un virus da te creato che ha già strappato a qualcuno i propri cari? Può essere sufficiente preparare dei pancake al figlio che hai fatto crescere da solo?
No, probabilmente non lo è, mettere una toppa non cancella uno strappo. Ecco perché Walter sorride prima di lasciarsi alle spalle suo figlio, sorride perché sa che gli restituirà la sua vita, sua figlia, non è solo il fatto di ristabilire gli equilibri terrestri, è il fatto di riuscire ad essere padre per la prima volta fino in fondo.


Così Walter sparisce e ci troviamo esattamente nel punto dal quale siamo partiti, in un attimo è come se questa ultima stagione non fosse mai esistita, Peter e Olivia sono felici, portano Etta a casa per fare il bagno tra un sorriso e l'altro prima che Peter riceva la lettera di cui suo padre aveva parlato, lettera che scopriamo contenere il tulipano bianco.
Qui, con l'ultimo fermo immagine sul quel tulipano, finisce il percorso di Walter Bishop, anima dello show per eccellenza, e questo percorso finisce talmente bene che non ci lascia il tempo di arrabbiarci per le domande alle quali non avremo risposta o per provare rammarico all'idea che Wlater non esista più in quel tempo.

Perciò, tanto di cappello agli attori e ai produttori per tutto quello che ci hanno regalato, tanto di cappello alla costruzione del rapporto padre-figlio che è stato dall'inizio alla fine il cuore dello show e tanto di cappello in particolare a John Noble che ha buona parte del merito per averci fatto amare Walter così incondizionatamente.

Adesso non resta che dirlo, GOODBYE FRINGE.


"You are my favorite thing, Peter. My very favorite thing." W.B.










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